Presa di posizione del comitato direttivo, all'attenzione dell'assemblea de* delegat online del 24 aprile 2021 (online)
Attualmente l’agricoltura è uno dei settori con le peggiori condizioni lavorative in Svizzera. Il carico di lavoro, la precarietà e il quadro economico della nostra agricoltura portano a situazioni drammatiche. Gli agricoltori soffrono di burn-out, affogano nei debiti e i pagamenti diretti sono lungi dall'essere sufficienti a garantire una vita decente. Le piccole aziende agricole sono in balia dei giganti della distribuzione, sia a livello nazionale che internazionale: in Svizzera chiudono circa quattro aziende agricole al giorno, e la pressione continua ad aumentare.
L’agricoltura è fortemente sovvenzionata poiché ritenuta un settore essenziale per la produzione di cibo e il mantenimento del paesaggio. Tuttavia, i sussidi della Confederazione non centrano completamente l’obbiettivo: invece di aiutare le aziende agricole sotto forte pressione, il 50% dei sussidi finisce nelle tasche delle grandi catene di distribuzione. Il denaro non viene quindi usato per aiutare chi lavora in pessime condizioni, ma anche per contribuire ai profitti di grandi distributori come Coop e Migros.
L’agricoltura è un settore essenziale, e deve essere in grado di produrre sufficiente cibo per tutt*, in modo etico ed ecologico.
Questa presa di posizione vuole fornire un’analisi dello stato dell’agricoltura svizzera, per proporre un’alterativa socialista, sostenibile e solidale dell’agricoltura.
Quali sono le condizioni di lavoro nel settore dell’agricoltura?
Ancora oggi, chi lavora nel settore agricolo non è soggett* alla legge sul lavoro. Le regole sugli orari di lavoro, i giorni di riposo e le vacanze non si applicano al settore agricolo. Inoltre, non esiste un contratto collettivo di lavoro (CCL) a livello nazionale, e i pochi presenti a livello cantonale non sono sufficienti a correggere la situazione. Le condizioni di lavoro sono regolate da un contratto normale di lavoro (CNL), emanato a livello cantonale. Perciò, avendo 26 legislazioni differenti, è difficile un’organizzazione del settore, e ciò va a svantaggio di chi lavora.
Carichi di lavoro enormi e salari bassi
Mentre i contratti normali di lavoro del settore dell’agricoltura indicano che si dovrebbe lavorare circa 53 ore settimanali, il tempo di lavoro medio è in realtà di quasi 58 ore settimanali. Ciò è chiaramente impossibile senza svolgere straordinari, o lavorare di sabato e domenica. Oltre agli orari estremi, va ricordato che il salario minimo medio è di 14 franchi l’ora. Mediamente a chi lavora in questo settore rimangono in tasca tra i 2'000 e i 2'500 franchi al mese, dopo aver dedotto le spese di vitto ed alloggio (che a volte coincide con il posto di lavoro. I salari reali delle persone lavoratrici nel campo dell’agricoltura sono addirittura diminuiti negli ultimi anni, siccome l’aumento del costo della vita non viene preso in considerazione quando si calcolano gli aumenti salariali negli anni.
Pressioni del libero mercato
La situazione per i piccoli agricoltori è pessima: ogni giorno chiudono circa 4 aziende agricole nel nostro paese. La ragione principale è la pressione economica esercitata dalle politiche di libero mercato e dalla forte concorrenza tra aziende, sia grandi che piccole. Lo stress per chi lavora nel settore è in aumento: il 12% soffre di burnout. Ciò è preoccupante, se consideriamo che la media del resto della popolazione è circa il 6%. Ciò si traduce anche in un aumento dei suicidi: il numero è raddoppiato tra il 2009 e il 2015. Secondo uno studio condotto sull’agricoltura in Svizzera, la perdita di valore economico si traduce in un sentimento di scarso riconoscimento della propria professione . Questo disagio sociale dovrebbe essere preso più seriamente.
Le difficoltà economiche del settore si possono notare nella diminuzione delle persone che lavorano nel settore. Se nel 2000 ci lavoravano 115'000 persone, nel 2018 erano solo 85'000 . Ciò non è necessariamente negativo, siccome l’utilizzo di nuovi macchinari permette un impiego più efficiente delle risorse umane e un aumento della produttività. Tuttavia, si presume che le pressioni sui prezzi causino comunque un aumento del carico di lavoro per persona.
La condizione precaria di migranti e donne*
La percentuale di persone straniere che lavorano nel settore dell’agricoltura è in aumento, così come il lavoro in nero nel settore. Anche se l’Unione svizzera dei contadini ha storicamente sempre negato l’impiego di lavoratori* e lavoratrici* non pagat*, vari studi dimostrano che almeno 8'000 persone lavorano in nero nel settore agricolo, e la maggior parte di esse sono migranti. Queste persone non hanno alcun diritto garantito in Svizzera, soprattutto sul posto di lavoro.
Anche le donne* sono fortemente colpite dalla precarietà del settore agricolo. Le donne spesso svolgono un grosso carico di lavoro nelle aziende a conduzione familiare, assumendosi la maggior parte del lavoro di cura e domestico, mentre svolgono anche quello agricolo. Tutto questo lavoro non retribuito non permette loro di essere indipendenti, o di provvedere autonomamente alla propria vecchiaia. D’altra parte, spesso sono proprio le donne a cercare un lavoro esterno a quello agricolo per fornire un reddito supplemen5tare necessario alla sussistenza della famiglia. A causa di questi fattori, le donne* risultano ancor più colpite dal burnout rispetto agi uomini. Nel 2019, l’Unione svizzera delle donne rurali ha stilato una serie di rivendicazioni, espresse nell’ambito dello sciopero delle donne*: il lavoro non retribuito e la dipendenza finanziaria delle donne contadine devono cessare.
La GISO Svizzera richiede le seguenti misure a breve termine:
- Il settore agricolo deve essere soggetto alla legge sul lavoro.
- Un salario minimo di 5'000 franchi per chi lavora nel settore agricolo.
- Orari di lavoro decenti.
- Legalizzazione di chiunque lavori in nero.
- Salari e adeguata protezione sociale per le donne* contadine.
- Un aumento globale della pensione AVS minima.
Analisi economica dell’agricoltura in Svizzera
Anche se l’agricoltura rappresenta meno dell’1% del PIL svizzero, impiega più di 150'000 persone in oltre 40'000 aziende. Il numero di persone che lavorano in questo settore è in costante diminuzione da svariati decenni. Il settore agricolo svizzero è in grado di produrre quasi il 100% delle derrate alimentari animali, e circa il 40% di quelle vegetali, per un tasso di autosufficienza del 58% nel 2018. La produzione regolamentata sul suolo svizzero porta anche all’esportazione di prodotti agricoli, che spesso ha ripercussioni negative, soprattutto sul sud globale. Si crea perciò un circolo vizioso, dove la produzione svizzera viene esportata invece di essere consumata localmente, ed altri prodotti vengono importati per compensare le carenze create artificialmente in Svizzera. A lungo termine, ciò incoraggia speculazioni sulle materie prime, i cui effetti nocivi sono già stati ampiamente dimostrati .
Sviluppo delle grandi aziende agricole a scapito delle piccole imprese
Possiamo notare una serie di tendenze, per quanto riguarda il settore agricolo. Negli scorsi 40 anni, la superficie agricola è praticamente rimasta invariata. La Svizzera risulta essere uno dei paesi europei con la minore superficie agricola utile per abitante. Contemporaneamente, il numero di aziende agricole è diminuito del 54%. Anche il numero dei posti di lavori ha subito un calo simile, causando perdita di competenze tecniche. Gli allevamenti intensivi e le grandi aziende agricole si stanno espandendo: la dimensione media di un’azienda del settore agricolo è raddoppiata rispetto agli anni ’70. Ciò è dovuto soprattutto alle pressioni finanziarie e allo sviluppo tecnologico, che hanno in parte sostituito il duro lavoro svolto precedentemente dalle persone.
Questo sviluppo ha avvantaggiato chiaramente le grandi aziende agricole che avevano più denaro per migliorare le proprie attrezzature. Ciò ha avuto l’effetto perverso di aumentare l’indebitamento del settore agricolo: tra il 2010 e il 2016, il debito per ettaro è aumentato di circa il 20%, ed ammonta ora a 31'316 fr. Per poter competere con le grandi aziende, quelle più piccole sono costrette a investire su nuovi macchinari accumulando sempre più debiti e rendendo sempre più precaria la gestione aziendale. Le conseguenze sono devastanti per chi deve gestire le piccole aziende, e vede i propri debiti aumentare continuamente.
Strumenti di sostegno all’agricoltura
La Svizzera sostiene l’agricoltura principalmente in due modi: attraverso le sovvenzioni e con la politica doganale.
Le sovvenzioni rientrano in tre categorie principali: pagamenti diretti; sostegno alla produzione e alle vendite; e miglioramento della base produttiva con misure sociali. Sommati, questi sussidi rappresentano circa il 60% dei guadagni del settore agricolo in Svizzera. Tuttavia, questi importi spesso non vanno beneficio delle persone che lavorano nel settore: metà di questi sussidi finiscono alle catene industriali e di distribuzione. Invece di sostenere direttamente l’agricoltura, si aumentano i profitti di grandi aziende come Coop e Migros, che sono anche in grado di fare pressione sui prezzi. La conseguenza è che il settore agricolo diviene ulteriormente dipendente da questi sussidi.
Qui entra in gioco la politica doganale. Per capirne la rilevanza, bisogna tenere presente che, sebbene l’agricoltura svizzera produca principalmente per il mercato svizzero. Il tasso di autoapprovvigionamento rimane inferiore al 60%. È quindi necessario proteggere il settore agricolo svizzero, dove esistono criteri relativamente rigidi per ottenere sussidi, per evitare che subisca gli effetti perversi del libero mercato internazionale.
Ciò porta ad un’evidente differenza di costi: i prodotti svizzeri saranno più cari sul mercato rispetto a quelli esteri (soprattutto a causa dell’assenza di standard ambientali e sociali). Per esempio, esistono norme sulle quote di importazione per alcune categorie di prodotti, o sugli standard che i prodotti devono soddisfare per venire importati in Svizzera.
Pressioni nocive della grande distribuzione e delle importazioni
I sussidi citati in precedenza dovranno essere mantenuti e sviluppati per assicurare la sopravvivenza dell’agricoltura svizzera, almeno finché rimarremo nelle attuali strutture degli stati nazionali. Il settore agricolo svizzero è sottoposto principalmente a due fattori di pressione. Il primo riguarda le catene di distribuzione, che si sviluppano in un mercato oligopolistico, fissando prezzi basse e garantendosi un copioso margine sulle vendite. Il secondo è quello dell’importazione di prodotti stranieri, che, nonostante alcune restrizioni doganali, rappresentano una concorrenza sleale per l’agricoltura svizzera. La situazione è paradossale: le sovvenzioni vengono deviate, i prezzi di vendita sono controllati dai giganti della distribuzione che si assicurano grossi margini beneficiando dei sussidi statali, e i prodotti che non trovano spazio nel mercato svizzero vengono esportati, danneggiano anche i mercati agricoli esteri. Un simbolo di quest’assurdità è il settore vinicolo: i vini stranieri vengono importato in Svizzera a prezzi bassissimi (quasi il 40% dei vini importati costa meno di 1,50 fr. al litro). Di conseguenza, i vini svizzeri hanno meno spazio nel mercato, e rappresentano ormai solo il 35% delle vendite. L’unica soluzione attuale per queste aziende vinicole è quindi di esportare.
La GISO Svizzera richiede le seguenti misure a medio termine:
- L’introduzione di una moratoria di cinque anni sull’abbassamento dei prezzi di acquisto tra le aziende agricole e le imprese di trasformazione e distribuzione.
- Lo sviluppo di piattaforme di scambio diretto tra produttori e consumatori.
- L’aumento dei sussidi diretti alle aziende agricole regionali.
- Il divieto di speculare sulle derrate alimentari.
- Un diritto di prelazione dello Stato in caso di abbandono di un possedimento agricolo, con diritti preferenziali per la famiglia e il personale dipendente.
- L’aumento dei dazi di importazione per i prodotti che fanno concorrenza sleale a quelli svizzeri.
Effetti dell’agricoltura sul clima e sull’ambiente
Oggi, l’agricoltura è responsabile di circa il 14,2% delle emissioni di gas serra in Svizzera. La maggior parte (56%) di queste emissioni proviene dagli allevamenti di bestiame. Oltre a ciò, bisogna considerare le emissioni di ossidi di azoto e le emissioni di metano provenienti dagli stoccaggi di letame. Queste emissioni sono diminuite di circa il 10% a partire dal 1990, soprattutto a causa della diminuzione del numero di vocini e da migliorie tecnologiche.
Le emissioni provenienti dagli allevamenti di bestiame potranno essere ridotte solo fino ad un certo punto. Sarà anche necessario in futuro ridurre il numero di capi di bestiame e quindi i prodotti animali. Esistono comunque altre misure tecniche che possono contribuire a ridurre le emissioni, come ad esempio la formazione di humus per catturare il carbonio, o diminuire l’eccessiva fertilizzazione.
Queste misure sono necessarie ed urgenti, e dovranno essere messe in atto al più presto se vogliamo raggiungere le zero emissioni entro il 2030 e rispettare gli accordi di Parigi. Queste misure comporteranno costi e sforzi, e dovranno essere sostenute dalla società nel suo insieme, siccome lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile e rispettosa del clima è responsabilità collettiva. Ciò andrà a beneficio della stessa agricoltura, siccome varie conseguenze del riscaldamento climatico, come la siccità, l’aumento di eventi metereologici estremi e l’aumento delle temperature stanno sfidando la produzione. Le ondate di calore, come quella del 2018, ci hanno già mostrato come l’agricoltura locale sia minacciata dalla crisi climatica.
La GISO Svizzera richiede le seguenti misure a corto termine:
- Agricoltura estensiva per la costituzione di humus.
- Migliorare l’alimentazione del bestiame e utilizzare mezzi tecnici per ridurre le emissioni.
- La promozione di un’agricoltura sostenibile.
- Il divieto di utilizzare denaro pubblico per la promozione di prodotti animali.
Utilizzo nocivo di pesticidi e minacce alla biodiversità
Da quando esiste l’agricoltura, sono state messe in atto varie misure per proteggere le colture dalle influenze del mondo esterno. Queste misure ci servono ancora, se vogliamo nutrirci. Tuttavia, l’uso di pesticidi minaccia non solo la biodiversità, ma anche la salute umana. La messa al bando dei pesticidi sintetici è perciò una misura necessaria, ma non dovrà essere l’unica. Da un alto, l’agricoltura dovrà essere sostenuta, mentre dall’altro si dovrà garantire l’accesso a cibo sano ed economico per tutt*. L’uso dell’ingegneria genetica potrebbe essere importante, ma solo dopo ricerche e test approfonditi e, soprattutto, pubblici. L’uso degli OGM non dovrebbe inoltre rendere le aziende agricole dipendenti dalle aziende che ne vendono le sementi sotto brevetto.
Oltre alla crisi climatica, si profila anche una crisi della biodiversità, ovvero l’estinzione irreversibile di milioni di specie animali nei prossimi decenni. Questa perdita potrebbe distruggere interi ecosistemi, con conseguenza senza precedenti per il mondo intero. Dopo le cinque precedenti estinzioni di massa conosciute, la natura ha impiegato milioni di anni per ristabilirsi. Il rischio attuale è legato alla distruzione degli habitat e all’introduzione di pesticidi aggressivi in natura. La biodiversità non è compatibile con le monocolture: è necessaria un’agricoltura ecologica con l’obbiettivo di prese4vcare la biodiversità. Ciò vale anche per le aree non coltivate.
L’agricoltura può avere anche un effetto positivo sull’ambiente: in molte regioni esse assicura un’enorme biodiversità, che altrimenti non ci sarebbe. I pascoli alpini non esisterebbero senza il duro lavoro dell’agricoltura alpina. Tuttavia, l0pagricoltura che si prende cura della biodiversità non è esattamente compatibile con le logiche di profitto. Finché il settore agricolo sarà soggetto alle pressioni della concorrenza, la produzione sostenibile rimarrà un settore di nicchia. È deludente che il più grande rappresentante del settore agricolo, ovvero l’Unione svizzera dei contadini (USC) si opponga a qualsiasi legislazione progressista su questo tema. Questa lobby agricola è vicina all’UDC e al PPD, e agisce chiaramente contro gli interessi a medio e lungo termine della maggioranza degli agricoltori.
La GISO Svizzera richiede le seguenti misure a corto termine:
- La messa al bando dei pesticidi di sintesi e la protezione dell’agricoltura nazionale applicando le stesse regole ai prodotti importati.
La revoca della moratoria sull’ingegneria genetica e svolgere ricerche pubbliche.
- La promozione dell’agricoltura mista e la compensazione dei costi che ne derivano.
- Espansione delle aree non coltivate.
La nostra visione: il sistema dei tre pilastri per un’agricoltura socialista e solidale
La situazione attuale è insoddisfacente. Da un lato, l’agricoltura beneficia di sussidi statali, pagamenti diretti e altri privilegi; dall’altro, il settore è un oligopolio. Tutto ciò genera molti costi e burocrazia, e non garantisce comunque condizioni decenti o partecipazione democratica. È necessaria un’alternativa al sistema attuale.
Gli obbiettivi per un’agricoltura sostenibile in Svizzera sono chiari: vogliamo che il cibo e gli altri prodotti agricoli siano prodotti in modo ecologico. Bisognerà garantire che tutta la popolazione avrà accesso al cibo in quantità sufficiente. Allo stesso tempo, vogliamo che le persone che lavorano nel settore agricolo godano di buone condizioni di lavoro e di sicurezza sociale. Queste condizioni non saranno raggiungibili tramite il mercato ed il profitto: è necessaria un ’agricoltura socialista e solidale.
La nostra visione di agricoltura si basa su tre pilastri: pianificazione, produzione e distribuzione.
Pianificazione centralizzata dell’agricoltura
La produzione agricola deve essere in modo centralizzato. Un'autorità centrale, controllata democraticamente, dovrebbe definire ciò che deve essere prodotto dall'agricoltura sulla base delle esigenze degli anni precedenti e delle proiezioni per gli anni successivi. I mandati risultanti da questa pianificazione saranno poi distribuiti alle aziende agricole secondo le loro capacità e necessità. Chi adempie al mandato di produzione dovrebbe beneficiare di una garanzia di acquisto. I prezzi dei prodotti ordinati saranno fissati in modo da coprire completamente i costi di produzione, in modo che le sovvenzioni non siano praticamente più necessarie. I vari fattori particolari (come la geografia, le condizioni climatiche, la produttività) saranno presi in considerazione, al fine di evitare dannose guerre dei prezzi. In alternativa, i mandati di produzione agricola potrebbero essere dati anche agli agricoltori impiegati dallo stato (vedi "produzione e occupazione")
Questa pianificazione centrale dovrebbe definire anche degli obiettivi a lungo termine che rigua5dinmo le conseguenze ecologiche della produzione, cioè come ridurre le emissioni di gas serra dell'agricoltura. Questa forma di pianificazione permetterebbe una partecipazione democratica e un uso molto più efficiente delle risorse disponibili, ed eviterebbe lo spreco dell'attuale sovrapproduzione e della competizione inutile.
Produzione e occupazione
I beni agricoli dovranno continuare ad essere prodotti. Le aziende agricole e il loro personale avranno due fonti di sostentamento: in primo luogo, i sussidi statali. I salari saranno ve5rsati per adempiere ai mandati di produzione. Il reddito sarà garantito indipendentemente dalla produzione, e dovranno essere rispettate le condizioni di lavoro definite dalla legge.
In secondo luogo, la produzione agricola potrà essere organizzata in cooperative o lavorare in modo indipendente (per esempio come piccoli agricoltori) piuttosto che con lo stato. In questo modello di produzione, le aziende riceveranno anche mandati di produzione dallo Stato, che dovranno adempiere - tuttavia, non saranno obbligate a mobilitare l'intera capacità produttiva dell'azienda se la cooperativa o il piccolo agricoltore non vogliono farlo. I mandati di produzione centralizzati garantiranno la sicurezza per queste aziende, grazie ai prezzi definiti e alla garanzia di acquisto. Allo stesso tempo, possono anche definire la propria produzione e distribuirla attraverso altri canali. È chiaro che si dovranno imporre condizioni sociali ed ecologiche molto severe ai produttori non statali attraverso la pianificazione. Anche i terreni agricoli dovranno essere gradualmente trasferiti alla proprietà pubblica. Saranno poi messi a disposizione degli agricoltori attraverso un diritto di costruzione senza interessi. La concessione dei diritti di costruzione terrà ovviamente conto di chi ha precedentemente vissuto e lavorato sul terreno.