Uscire dalla crisi climatica: una buona vita per tutt*!

27.06.2022

Presa di posizione della GISO Svizzera approvata dell’assemblea annuale straordinaria del 19 giugno 2022 (Berna)


La crisi climatica è il problema più urgente del nostro tempo. È una minaccia per molte delle condizioni fondamenti della vita sulla terra. Per evitare che assuma le proporzioni catastrofiche che si possono ipotizzare attualmente, o che porti a conseguenze ancora peggiori, il riscaldamento del clima terrestre non dovrà superare 1,5°C rispetto all'epoca preindustriale. Il riscaldamento odierno è già di 1,1 °C. Il limite di 1,5°C dovrebbe essere raggiunto nel 2028: l'emergenza ê ora![1]

La politica climatica svizzera, dominata dalla borghesia, ha finora adottato solo misure assolutamente insufficienti. Nella GISO Svizzera sappiamo che dovremo superare il capitalismo per poter contenere adeguatamente la crisi climatica. Siamo a favore di una politica climatica sociale, efficace e coerente e abbiamo già affrontato la crisi climatica in una serie di documenti e risoluzioni.[2] Nel 2016 è stato adottato un documento sul tema e nel 2019 è stato presentato un piano d'azione concreto.

Ma la volontà di superare il capitalismo da sola non basta, bisogna anche sapere dove si vuole andare. Per questo motivo, in questo documento tracciamo una visione che intende definire la direzione della nostra politica climatica. Una visione di come possiamo evitare la crisi climatica e di conseguenza creare una buona vita per tutt* attraverso il rovesciamento del sistema esistente e un cambiamento sociale.

Il capitalismo come causa della crisi climatica

Il capitalismo è definito dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. Storicamente, il primo passo verso questo obiettivo è stata l'accumulazione originaria[3], resa possibile, tra l'altro, dalla privatizzazione dei campi comuni. Anche le colonie europee hanno svolto un ruolo fondamentale. La distruzione dell'ambiente e della vita sociale dei territori colonizzati, unita allo sfruttamento del lavoro delle persone schiavizzate, ha fornito le risorse che hanno reso possibile la produzione capitalistica. Ad esempio, i coloni britannici smantellarono completamente l'industria tessile indiana, che funzionava in modo sostenibile da millenni, per dirottare le forniture di cotone verso il nascente capitalismo europeo.

La proprietà privata dei mezzi di produzione significa che una manciata di borghesi possiede tutte le infrastrutture necessarie per la produzione di beni e servizi e quindi decide da sola sul loro utilizzo - senza dover prestare attenzione ai bisogni del 99% e alle capacità del pianeta. Ma questo non significa che i/le* capitalist* siano liberi di fare ciò che vogliono: sono soggett* ai vincoli della concorrenza reciproca. Per tenere il passo e rimanere concorrenziali, devono accumulare capitale. Per questo motivo, l'intero sistema si basa sulla massimizzazione del profitto a breve termine e sulla necessità di crescita.

La massimizzazione del profitto a breve termine consente alla borghesia di accumulare quanto più capitale possibile. Per massimizzare i profitti, vengono sfruttate le persone lavoratrici e l’ambiente. Per ottenere un profitto, il capitale cerca continuamente di espandere la propria influenza sulla natura. Ciò non avviene solo acquistando la terra, ma anche appropriandosene con la violenza. Le popolazioni indigene e i/le* piccol* agricoltor* sono quelli che ne soffrono di più.

Scientificamente, le emissioni di gas serra di origine antropica sono la causa della crisi climatica. Questi provengono in gran parte da combustibili fossili. Ed è proprio qui che sta il problema: senza energie fossili, non c'è trasporto a basso costo, non ci sono bassi costi di produzione e quindi non c'è il massimo profitto. E anche se oggi alcune fonti di energia rinnovabile sarebbero investimenti più convenienti, i/le borghesi hanno poco interesse nello smettere di investire nei combustibili fossili, finché questi rimangono redditizi. Inoltre, questa massimizzazione dei profitti avviene a breve termine e quindi incarna l'esatto opposto della prospettiva a lungo termine necessaria per rispettare i limiti del pianeta. In breve: tutto ciò che non è redditizio qui e ora viene scartato, senza tener conto delle conseguenze devastanti per il nostro pianeta e soprattutto per chi lo abita.

Mentre una parte dei profitti finisce direttamente nelle tasche de* borghesi, un'altra parte viene investita nelle loro imprese per modernizzarle e ingrandirle in modo da produrre di più e a minor prezzo: questo processo si chiama accumulazione di capitale. Se i/le capitalist* non agiscono in questo modo, saranno sopraffatti dalla concorrenza. Ciò crea un circolo vizioso in cui la produzione cresce all'infinito e le emissioni di gas serra aumentano all'infinito, in un mondo con risorse limitate. L'accumulo di capitale si traduce quindi in una spinta alla crescita. Questa massa sempre crescente di beni deve poi essere consumata, e ciò è reso possibile, tra l'altro, dalla pubblicità e dall'obsolescenza programmata[4]. Il sovraconsumo è quindi una conseguenza diretta della sovrapproduzione capitalistica.

Infine, nel capitalismo chi detiene la ricchezza ha un enorme potere politico. Le ricchissime lobby dei combustibili fossili e di tutti quegli interessi economici in netto contrasto con la protezione dell’ambiente congelano ogni tipo di politica ambientale che contrasti gli interessi dei capitalisti. Inoltre diffondono “fake news” e fanno campagne per relativizzare il problema e preservare il sistema attuale distruttivo. Questo è un ennesimo elemento caratteristico del capitalismo che rende impossibile la protezione dell’ambiente.

Questo sistema distruttivo avvantaggia in modo massiccio l'1% più ricco, mentre il restante 99% soffre. Le persone di colore e le persone FLINTA*[5], le persone che lavorano nel Sud globale, le persone più povere del Nord globale e gli animali sono particolarmente colpite. Nonostante abbiano contribuito molto poco al riscaldamento climatico, queste persone soffrono maggiormente sotto questo sistema distruttivo. Da un lato, sono sfruttate nel processo che causa la crisi climatica attraverso l'interazione tra capitalismo e altri sistemi di oppressione, d'altra parte, sono le più colpite dalle conseguenze della crisi climatica. Infatti, queste persone sono minacciate dai disastri naturali, vivono in un ambiente inquinato e hanno le maggiori difficoltà di adattamento a causa della loro vulnerabilità economica.

Per una politica climatica sociale

La risposta della politica svizzera a queste condizioni insostenibili può essere riassunta in una parola: responsabilità individuale. La crisi climatica viene presentata come un problema individuale piuttosto che sistemico. L'idea è che per risolvere la crisi climatica basta lasciare che i mercati si spostino verso branchie meno ecologicamente impattanti, come quella delle auto elettriche. Addirittura, il problema ambientale viene visto come nuova opportunità di crescita. Queste idee seguono un calcolo capitalistico: i grandi emettitori di gas serra vengono nascosti e la colpa viene cercata nelle singole persone, che finiscono per accusarsi a vicenda. Le grandi responsabili, tuttavia, sono le grandi aziende e l'1% più ricco. Chi richiama l’attenzione, tramite l’attivismo, su queste questioni subisce la repressione in tutto il mondo.

Le nuove leggi in Svizzera prevedono solo incentivi finanziari, ma non divieti. Ciò comporta un aumento dei prezzi della benzina e del gasolio per i riscaldamenti, così come altre conseguenze negative per la popolazione. Queste misure sono tutt'altro che efficaci e colpiscono in modo particolare le persone a basso reddito. Il fallimento dell'incoerente legge sulla CO2, respinta in votazione nell’estate 2021, è l'emblema di questa evoluzione. Come unico presunto risultato della politica climatica borghese della Svizzera, si trattava di una proposta di legge ingiusta e inefficace, che avrebbe fatto leva sulla responsabilità individuale del 99% e sugli incentivi finanziari senza ritenere sufficientemente responsabili chi inquina veramente. È chiaro che la "politica climatica" borghese sia un completo fallimento.

Possiamo definire l'attenzione al consumo, ai meccanismi di mercato e alle soluzioni tecnologiche come ulteriori caratteristiche della politica climatica borghese. L'attenzione al consumo è una conseguenza diretta della favola della responsabilità individuale. La politica climatica borghese mira a creare nuove modalità e pratiche di consumo per il 99% invece che invertire le logiche di sovrapproduzione e sovraconsumo. Eppure siamo consapevoli che la sovrapproduzione e gli incentivi al consumo insiti nel sistema capitalista portano ad un utilizzo eccessivo e all'esaurimento delle risorse del pianeta. Inoltre, i meccanismi di mercato, come i diritti di emissione negoziabili, svolgono un ruolo importante nella politica climatica borghese. La Svizzera è una sostenitrice particolarmente accanita di questi meccanismi nei negoziati internazionali sul clima, che finanziano principalmente le riduzioni delle emissioni in altri Paesi - alcune delle quali sarebbero avvenute comunque - invece di occuparsi delle proprie emissioni. Questi meccanismi di mercato non solo sono uno strumento insufficiente per una politica climatica efficiente, ma hanno addirittura svolto un ruolo controproducente nei primi anni della loro applicazione, rallentando l'eliminazione graduale delle energie fossili. Infine, l'attuale politica climatica è caratterizzata dalla convinzione che le tecnologie e l'innovazione possano risolvere la crisi climatica autonomamente.

Lo sviluppo di tecnologie sempre meno impattanti sull’ambiente è sicuramente un’ottima cosa e sarà estremamente utile, esattamente come lo è il progresso scientifico. Sicuramente, però, queste nuove tecnologie non basteranno a risolvere le crisi. E soprattutto, l’imperativo della crescita elimina i potenziali benefici di queste tecnologie. Con macchine meno dannose per l’ambiente i capitalisti saranno ancor più incentivati a produrre di più, in modo da accumulare ancor più profitto. Le nuove tecnologie non vengono usate per produrre la stessa quantità di cose in minor tempo, ma per produrre più cose nello stesso lasso di tempo. Di fatto, le innovazioni potranno davvero avere un impatto positivo solo in una società libera dalle logiche capitaliste. Solo in una società post-crescita il progresso scientifico potrà essere utile al benessere dell’ambiente e delle persone, piuttosto che accelerare i processi di estrazione e smaltimento delle risorse naturali.

Abbiamo urgentemente bisogno di un'alternativa a questa politica climatica borghese: una politica climatica sociale. Invece di attribuire la responsabilità della crisi climatica alle singole persone, vogliamo dimostrare che il capitalismo è la causa della crisi climatica. Dovrebbero infatti essere le persone che traggono maggior profitto da questo sistema distruttivo a dover pagare per affrontare la crisi climatica e le sue conseguenze. Anche le grandi imprese e la piazza finanziaria devono essere finalmente chiamate a rispondere delle loro azioni, attraverso divieti, tassazione e controllo democratico. La nostra politica climatica non vuole cambiare il comportamento di consumo del 99%, ma il modo di produzione. Abbiamo quindi bisogno di una ristrutturazione eco-sociale della sfera produttiva. Nessun* deve essere lasciato indietro in questa ristrutturazione; la dimensione sociale della nostra politica climatica è assolutamente centrale. Inoltre, per garantire una transizione ecologica favorevole al 99%, il lavoro di cura dovrà essere una leva importante e una delle componenti principali nella lotta al cambiamento climatico. Infine, la nostra politica climatica è internazionalista e per il clima. Pertanto, il 99% del Sud globale deve essere protetto il più possibile dalle conseguenze della crisi climatica e deve essere aiutato incondizionatamente nell'adattarsi a questa situazione.

La nostra visione: una vita dignitosa per tutt*!

Il capitalismo implica e promuove le crisi e rappresenta un profitto per poche persone basato sullo sfruttamento del 99%. Dobbiamo avere il coraggio di combattere ora per un futuro in cui una vita dignitosa sia garantita a tutt*. I piani d'azione con i passi per una politica climatica sociale e radicalmente anticapitalista sono già numerosi, ora dobbiamo contribuire nell’attuarli. Per mostrare alla società per cosa lottare, abbiamo bisogno di idee chiare; la nostra visione eco-socialista della società si basa su tre pilastri: pianificazione ecologica democratica, post-crescita ed economia di cura.

Pianificazione economica democratica

La ristrutturazione economica non potrà avvenire in modo isolato, ma dovrà essere necessariamente accompagnata da una trasformazione radicale di tutte le strutture sociali. L'obiettivo dovrebbe essere un'economia pianificata democratica, decentralizzata ed ecologica; solo in questo modo si potrà mettere al centro il benessere della società nel suo insieme. Servono gestione e pianificazione su più livelli, all'interno di aziende, istituzioni politiche o attraverso le associazioni. Una gestione in cui le persone interessate decidono democraticamente la produzione e le risorse necessarie, tenendo conto dei bisogni della popolazione e delle capacità dell'ambiente. Dobbiamo fare in modo che la produzione sia giustificata e rispecchi i bisogni reali delle persone, che la svolta ecologica abbia inizio e sia nell'interesse della maggioranza e che non vengano sfruttati né la nature, né gli animali, né le persone.

Post-crescita

È indispensabile liberare la nostra società dalla costrizione capitalistica alla crescita. Ci stiamo impegnando per una società post-crescita, che implica la dematerializzazione, il potenziamento e la rilocalizzazione dell'economia attraverso la riduzione controllata delle attività economiche con un consumo materiale concreto[6], per frenare e poi superare la sovrapproduzione e il consumo eccessivo. Questo significa avviare un processo che ambisce a costruire una nuova società basata su altri valori, come la sostenibilità, la democrazia, l’equità e il benessere collettivo La crescita può e deve essere legata solo alla qualità, e non alla quantità come in passato. Dovrebbe essere migliore e orientata ai bisogni, invece di limitarsi a produrre sempre di più. Affinché le persone abbiano più tempo per vivere e svilupparsi, si dovrebbe attuare una massiccia riduzione dell'orario di lavoro. Questo lascerà più tempo per le attività sociali e la famiglia. Inoltre, questo passo potrà dare un contributo centrale all'eliminazione delle disuguaglianze sociali.

Lavoro di cura

In una società ecosocialista, il lavoro di cura ha un ruolo centrale. I settori dell'assistenza devono essere collettivizzati e organizzati democraticamente.L'utilizzo di servizi di assistenza è un bisogno fondamentale di ogni essere senziente, il che rende il lavoro di assistenza una questione fondamentale per ogni forma di convivenza.[8] L'organizzazione decentralizzata e statale delle strutture di assistenza all'interno delle comunità è quindi inevitabile per un autogoverno decentralizzato e orientato ai bisogni. Una società solidale, in cui il lavoro di cura è distribuito in modo equo, crea una resistenza alle crisi. Una rete sociale forte rende più resilienti in caso di disastri e crisi – cosa di cui c'è urgente bisogno soprattutto con l'aumento degli eventi meteorologici estremi nella crisi climatica.

Per una svolta ecosocialista!

Se vogliamo garantire non solo la sopravvivenza, ma anche una buona vita per tutt*, il momento di cambiare è ora. Il superamento del capitalismo è inevitabile e più urgente che mai. Non crediamo nella favola della crescita verde, ma ci battiamo per una politica climatica radicalmente sociale e anticapitalista. Ai responsabili della crisi si sarebbe dovuto chiedere di pagare ieri, ma oggi li riteniamo tuttora responsabili, perché è ora di porre fine a questo sistema distruttivo! Un altro mondo è possibile: puntiamo sull'ecosocialismo!


Note a piè di pagina

[1] Masson-Delmotte, Valérie et al. : Global Warming of 1.5°C. Summary for policy makers (nell’ambito del rapport IPCC), o.O 2022

[2] https://juso.ch/de/standpunkte/klima/

[3] L'accumulazione originaria si riferisce al processo (a partire dal XV secolo circa) che ha reso possibile l'instaurazione dei rapporti di produzione capitalistici e l'accumulazione di capitale.

[4] L'obsolescenza programmata si riferisce alla deliberata limitazione della durata di vita dei prodotti da parte di un'azienda.

[5] Donne, lesbiche, persone intersex, non binarie, transessuali e agender,

[6] Climatestrike Switzerland: Klimaaktionsplan. Kurzfassung, Zurigo 2021, P. 30.

[7] Winker, Gabriele: Care-Revolution als feministisch-marxistische Transformationsperspektiv, in: das Argument, XX 2015, S. 538.

[8] Madörin, Mascha: Care Ökonomie. Eine Herausforderung für die Wirtschaftswissenschaften, in: Caglar, Gülay (Hrsg.): Gender and Economics. Feministische Kritik der politischen Ökonomie, Wiesbaden 2010, S. 90.